giovedì 20 ottobre 2011

Partiti e Partecipazione: dove far ripartire la speranza

(di Andrea De Vito)

La legislatura in corso passerà alla storia come quella dei sogni infranti. Le speranze nate all’indomani delle elezioni del 2008, avevano addirittura fatto presagire ai più ottimisti la nascita di una “Terza Repubblica”. Tuttavia la stabilizzazione del bipolarismo, la riduzione della frammentazione della rappresentanza parlamentare, la normalizzazione del confronto tra maggioranza e opposizione, si sono rivelate ben presto un semplice cumulo di illusioni.

Le cause del fallimento delle riforme istituzionali tanto invocate  sono facilmente riscontrabili nella profonda deriva populista che ha avvolto il sistema politico. Il ruolo di portatori di istanze, idee e valori che i partiti hanno da sempre ricoperto si è radicalmente modificato.
L’avanzata populista, nella sua ondata immensamente semplificatrice e demagogica, ha portato ad un progressivo svuotamento del ruolo attivo sia della militanza che della rappresentanza. Le profonde distorsioni imposte dalla discesa in campo berlusconiana hanno contagiato quasi tutti a destra e a sinistra. Fenomeni comunicativi come l’inserimento del nome del candidato premier o del leader di partito nel simbolo, abbinati ad una crisi della rappresentanza causata da liste bloccate compilate quasi esclusivamente in base a logiche di vicinanza al capo, hanno fatto in modo di allontanare il cittadino dalla politica, o meglio proprio da i partiti, che nella percezione collettiva appaiono poco più che vecchi arnesi appartenenti ad un’epoca ormai trapassata.

Ma nel mezzo del cammino di questa legislatura, ci si è imbattuti in due eventi che sembrerebbero aver rilanciato la speranza e il desiderio di partecipazione e (forse) ribaltato il corso della storia politica italiana: la vittoria alle amministrative di Giuliano Pisapia a Milano e il raggiungimento del quorum ai referendum del 12 e 13 giugno.
Entrambi hanno portato alla luce fenomeni su cui bisognerebbe attivare una profonda riflessione, concentrandosi in particolare sul valore della partecipazione.

Nel primo caso, la campagna di Pisapia è il perfetto esempio di un circuito virtuoso che, se ben innescato, consente di convogliare la partecipazione civica trasformandola in consenso.
Fin dall’inizio, la scelta della primarie (seppure osteggiata da molti) è risultata una mossa vincente. In questa prima fase infatti, i diversi candidati hanno raccolto intorno al loro confronto, il mondo della società civile attraverso le più diverse accezioni. La Milano dell’associazionismo cattolico e non, degli intellettuali, dell’arte, della cultura si è ritrovata catapultata in un mondo che prima sembrava distante anni luce, chiamata a recitare finalmente un ruolo da protagonista dopo anni di emarginazione. La possibilità di vedere ascoltate ed accolte le proprie istanze da chi avrebbe poi dovuto rappresentarle ha fatto da stimolo per riattivare l’interesse di quanti si erano, a furia di delusioni, allontanati dalla politica. La vittoria di Pisapia sugli altri concorrenti della coalizione di centrosinistra ha rappresentato un ulteriore punto di partenza.

La “Fase 2” del processo aveva come obiettivo fondamentale quello di non gettare al vento tutto il lavoro fatto fino a quel momento. Per realizzarlo era fondamentale tenere unita la coalizione attraverso la collaborazione reciproca tra il vincitore delle primarie e coloro i quali avevano sostenuto gli sfidanti, aumentando così le speranze di una vittoria finale e la legittimazione della leadership di Pisapia. L’attenzione mediatica e lo sviluppo della comunicazione politica attraverso l’uso tagliente e ironico del web hanno incrementato la mobilitazione spontanea dell’elettorato di centrosinistra che per la prima volta accarezzava il sogno di riconquistare la città.

La storica vittoria finale e l’esplosione di gioia di Piazza Duomo, testimoniano una straordinaria inversione di tendenza rispetto all’attualità del quadro politico, in particolare se si considera che il processo di partecipazione politica è stato costruito su una piattaforma programmatica in cui le idee venivano prima delle persone, che tuttavia erano di nuovo in prima linea (come non accadeva da tempo) diventando il perno della testimonianza quotidiana di una mobilitazione emotivamente attiva e convinta. 

A tutto questo vanno aggiunte le coraggiose scelte di un progetto che sfidava a viso aperto il retroterra culturale leghista, fortemente ancorato alle paure dell’immigrazione, proponendo un’alternativa: un’idea di società diversa che scavalcasse gli orizzonti del conflitto permanente e delle rivalità personalistiche, che la candidatura del premier tra le liste del PDL e i vari tentativi di discredito da parte della Moratti tentavano di riproporre in maniera costante.
L’obiettivo era giungere ad una realizzazione di una sicurezza basata sul rispetto e il riconoscimento di una multiculturalità che doveva essere considerata una risorsa per la città.
In questo contesto i partiti hanno giocato un ruolo fondamentale. Aldilà delle letture superficiali, essi hanno riscoperto il loro compito primario. Non più vuoti contenitori costruiti ad immagine e somiglianza del leader, ma veri e propri laboratori di partecipazione civica con alla base un progetto che ha portato alla formazione di liste di candidati che costituissero reali punti di riferimento per la società civile.
A Milano si è “semplicemente” realizzata, nella sua versione moderna, quella che Gramsci, nei suoi “Quaderni dal carcere”, chiamava “connessione sentimentale” tra intellettuali (dirigenze di partito locali, in questo caso) e popolo (i milanesi). Senza questa connessione -ammoniva Gramsci- << i rapporti tra intellettuali e popolo-nazione si riducono a rapporti puramente burocratici, formali (gli intellettuali cioè diventano una “casta”o un “sacerdozio”, il cosiddetto “centralismo organico”). Se invece il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione <<è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti.>>. Un rivoluzionario ritorno alle origini. La riscoperta di una Politica che ascolta pazientemente le idee della base e che sa tradurle in punti programmatici attraverso i quali ricercare il consenso.
Questo ha fatto in modo che, ad esempio, lo stesso Partito Democratico, da più parti descritto come inutile ai fini della vittoria finale, abbia  in realtà ottenuto, attraverso le sue liste un numero assai importante di consensi, rilanciandosi come primo partito cittadino.
Un discorso a parte merita la figura di Giuliano Pisapia, anch’essa diventata (forse involontariamente) l’icona di una politica dalla faccia pulita e dai toni pacati,ma allo stesso tempo autorevole leader capace di mettere d’accordo il mondo cattolico e quello della sinistra radicale nel nome di un progetto concreto.  Ora la giunta milanese è attesa dalla prova più ardua, governare non deludendo le aspettative, ma questa è un’altra storia.

Un’ulteriore ed inaspettata prova della vitalità presente nella società civile italiana e dell’immenso desiderio di partecipazione è arrivata il 12 e il 13 giugno. Dopo anni di quorum non raggiunti, i quesiti referendari,che riguardavano temi profondamente sentiti dai cittadini,sono riusciti nel miracolo di portare al voto circa 27 milioni di italiani. Un risultato che alla vigilia sembrava inimmaginabile. Ancora più incredibile se si pensa che il voto referendario non è caratterizzato dalle dinamiche partitiche o clientelari tipiche delle elezioni di carattere politico.

Da questi due eventi, a mio avviso, i partiti devono trarre nuova linfa per affrontare le sfide del futuro. Replicare l’”effetto Pisapia” su scala nazionale non sarà facile, ma nell’Italia post-berlusconiana servirà una nuova classe dirigente aperta a metodi virtuosi di selezione delle cariche pubbliche come le primarie, che devono diventare un momento di confronto costruttivo fra esponenti di partito ma allo stesso tempo un luogo di raccolta e di discussione delle nuove idee ed energie. Una fabbrica dalle porte aperte, una sorta di vetrina per invogliare i cittadini a tornare a svolgere un ruolo attivo all’interno dei partiti, riscoprendo la Politica nella sua accezione più nobile e sana e ritornando a soddisfare il forte desiderio di partecipazione che nonostante tutto non ci ha ancora abbandonati.

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