venerdì 21 ottobre 2011

Crisi economica e vie d'uscita: Responsabilità (inter)nazionale?

(di Micael Saillen)

Appare ormai un appuntamento quotidiano accedere a qualsiasi fonte di informazione e venire a conoscenza degli ennesimi proclami relativi alla necessità di un nuovo piano atto a rilanciare le sorti del nostro paese: piani sullo sviluppo, annunci di nuove misure di austerità, contornati da una parte dai vari contrasti all'interno della maggioranza (che definirei "relativamente assoluta") su quale nuova strategia adottare, e dalle dichiarazioni delle istituzioni europee (e non) sull’inadeguatezza dell'operato del governo italiano per far fronte alla congiuntura economica dall’altra. Il tutto rinforzato dai cronici segnali provenienti dal mercato finanziario. Ma vi è forse qualcosa che rende ancora più drammatica la situazione italiana e che rende ancora più urgente un cambiamento alla leadership del paese?
Quanto varrebbe economicamente una sua uscita di scena?

Rispondere oggi a una domanda del genere diviene quasi scontato in quanto pare evidente che la risposta sia più che affermativa, sulla base di aspetti diversi ma tra loro correlati.
La crisi che sta coinvolgendo l'Europa intera ha ormai da mesi raggiunto un livello non più meramente economico, rivelandosi in tutto il suo peso politico. Il destino dell'UE pare ora, nelle parole di molti, legato alla risoluzione o meno della crisi attuale (con le dovute obiezioni che si potrebbero avanzare verso una posizione così dura). Ci troviamo infatti davanti a un'impasse senza precedenti nel processo di integrazione che rischia di tramutarsi addirittura in una regressione rispetto a quanto si è fatto fino ad oggi (si è letto più volte della possibilità ventilata da alcuni di obbligare la Grecia a uscire dall'UE  ad esempio). D'altra parte il problema economico non è più da tempo limitato alla sola Grecia, è andato col tempo a colpire pure altri paesi, come Spagna e Portogallo, fino alla stessa Italia, una delle nazioni di maggior rilievo all'interno dell'Unione.
La soluzione a tali situazioni, per quanto detto sopra, pare avere quindi, ora più che mai, una doppia valenza, la quale porta a due implicazioni strettamente interconnesse: una di carattere economico, ovvero la dimostrazione di come il maggiore esempio di unione monetaria internazionale possa reggere sotto il peso delle fluttuazioni dell'economia di mercato moderna, e una di carattere politico, ovvero la dimostrazione  della capacità dell'Unione di far fronte a difficoltà che necessitano soluzioni comuni, concertate a livello comunitario, comportanti sacrifici comuni, anche da parte di paesi "virtuosi".
Considerando la situazione italiana in quest'ottica, non si può prescindere dalla rilevanza che le decisioni prese per far fronte alle problematiche interne assumono rispetto a problematiche esterne. Considerazione che a sua volta può essere estesa alla stessa Unione Europea, considerando l'alto livello di interdipendenza che caratterizza l'economia globale e l'importantissimo ruolo che in essa riveste l'economia europea. Pare che su questo piano, considerati i dati più recenti relativi non solo agli USA (disoccupazione al 9%), ma anche ai così detti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e alla loro capacità di azione propulsiva nell'economia globale, la situazione sia tutto fuorché rassicurante.
In considerazione di quanto detto, possiamo osservare come la responsabilità politica (nella sua accezione "interna”) che viene richiamata spesso e volentieri in dibattiti televisivi e proclami mediatici, debba essere riconsiderata all'interno dello stesso dibattito nazionale, in un'accezione ben più vasta.
E' forse questa la prospettiva dalla quale si dovrebbe giudicare il quotidiano divenire della politica, prospettiva che dovrebbe lasciarci ancora più perplessi di fronte all'immobilità del governo e all'impermeabilità di questo alle proposte che da mesi provengono dalla società civile (ad esempio da gruppi importanti come Confindustria o il Il Sole24Ore). A questo punto viene da domandarsi se l'ostacolo maggiore non risieda proprio nei calcoli politici e nelle esigenze elettorali che sembrano guidare l'operato della classe dirigente, se i limiti maggiori non siano ritrovabili nello stesso sistema politico, nella democrazia come conosciuta da noi oggi e se essa, al pari del sistema finanziario internazionale, non necessiti di importanti riforme.

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