lunedì 14 novembre 2011

Da Ciampi a Monti: Rischi, vantaggi e conquiste dei governi di emergenza.

(di Andrea De Vito)


Non mi sono mai piaciuti i supereroi così come non credo nei salvatori della Patria. Gli uomini soli al comando mi hanno sempre fatto paura e quando non hanno portato le nazioni alla rovina di certo non hanno cambiato le sorti della storia in positivo. Proprio per questo ritengo che “Agorà Democritica” sia la sede più appropriata per dare vita ad una seria riflessione sugli scenari politici in atto e sulla figura di Mario Monti, probabile futuro presidente del Consiglio di un ancora incerto governo “tecnico”.  

Ancora una volta bisogna andare aldilà delle barriere imposte dal virus demagogico che sembra ormai aver infettato gran parte della nostra società. Un’analisi attenta ed obiettiva deve necessariamente mettere da parte l’ebbrezza per le dimissioni di Berlusconi e la chiusura della sua stagione di governo focalizzando l’attenzione sulla drammaticità del contesto politico-economico in cui versa il nostro Paese, per il quale di certo non si può festeggiare.
Nell’attuale scena politica e mediatica si sono andati a costituire due fronti principali: il primo ha alle spalle un retroterra culturale che affonda le sue radici nella dietrologia e nelle teorie del complotto e considera il premier “in pectore”, da poco nominato senatore a vita, una figura prettamente tecnica, eccessivamente legata al mondo della finanza speculativa. La stessa nomina è stata fatta oggetto di discussione da parte del matematico Piergiorgio Odifreddi che sul suo blog ha messo in dubbio gli alti meriti di Monti accusandolo di - essere stato presidente della famigerata Commissione Trilaterale, una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger.- Il suo importante ruolo ricoperto all’interno della Goldman Sachs come International advisory, lo ha portato ad essere ulteriormente oggetto di feroci critiche. La sua nomina a Presidente del Consiglio sancirebbe, per costoro, il commissariamento delle istituzioni politiche da parte del mondo economico e, con la contemporanea nomina a primo ministro greco di Lucas Papademos, ex vicepresidente BCE, si realizzerebbe il definitivo trionfo della tecnocrazia. Si andrebbe così a concretizzare, il paradosso della finanza che ci salva dalla crisi che lei stessa ha prodotto.
Il secondo fronte vede nella figura del bocconiano Monti una luce in fondo al lungo e buio tunnel degli anni del berlusconismo . Un messia a cui affidare le chiavi di un Paese alla deriva, incapace di offrire risposte politiche convincenti ad un Europa che esige soluzioni credibili. L’unico uomo in grado di risollevare le sorti dell’Italia, propinando misure severe e impopolari ma che, vista l’emergenza, verranno fatte passare come necessarie, mediante un’adesione pressoché totale agli obiettivi fissati dalla lettera inviata dalla BCE. Una mitizzazione forse indirizzata ad infondere ottimismo ai mercati.
Oggi più che mai la politica non ha bisogno né degli uni né degli altri. Fra il bianco e il nero vi sono, come sempre, infinite sfumature.
Occorre perciò ricordare ai sostenitori della prima e della seconda ipotesi che il Prof. Mario Monti non sarebbe né il primo né l’ultimo economista a guidare un governo tecnico. Carlo Azeglio Ciampi ad esempio, al momento di ricevere l’incarico, era stato Governatore della Banca d’Italia. Il suo fu il primo governo nella storia della Repubblica ad essere guidato da un non parlamentare. Le critiche che gli vennero mosse allora, furono più o meno le stesse di oggi: Liberazione titolava «Il potere al potere», Umberto Bossi tirava in ballo i massoni e perfino la P2, il Manifesto si limitava a parlare di “potere dei banchieri”.
Erano i giorni del concitato passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica: iniziava la travagliata era di Tangentopoli. Nonostante un intero sistema politico stesse crollando quel governo ebbe il merito, in poco più di un anno, di avviare un politica economica seria, che gettò le basi per la successiva entrata dell’Italia nell’Eurozona, rilanciando con superbo impulso riformista, il metodo della concertazione sindacale, tanto che il segretario generale della CGIL di allora Bruno Trentin, in un intervista al Corriere della Sera del 15 ottobre 1993, arrivò a definire il governo Ciampi - per capacita' di buona parte dei suoi componenti e per rigore morale, uno dei migliori governi che questa Repubblica sia stata capace di produrre-. Infine, sei anni dopo, quel “tecnocrate” di Ciampi divenne uno dei più amati e popolari presidenti della Repubblica Italiana.
Nel 1996 , dopo la fine del Governo Berlusconi I, fu la volta del governo Dini. Il primo, e finora unico, governo interamente composto da esperti e funzionari non appartenenti al Parlamento. Fu proprio quel governo a varare una delle più importanti riforme del sistema pensionistico.
Dunque, sebbene Mario Monti sia un economista di sicuro orientamento liberista, è altrettanto doveroso ricordare che il ruolo di consulente da lui ricoperto in Goldman e Sachs non ha in alcun modo avuto peso decisionale sulla politica dell’azienda. Inoltre, nel 1999 (Monti era già commissario europeo dal 1994) ricevette da Romano Prodi, presidente della Commissione Europea di allora, la delega alla concorrenza. Sotto la sua guida la Commissione Europea ha approfondito fortemente il ruolo di controllo della concorrenza nel mercato dell’UE, inaugurando coraggiosamente il procedimento contro il colosso americano “Microsoft” (tuttora in corso) e bloccando la proposta di fusione tra “General Electric” e “Honeywell” nel 2001, considerata contraria alle normative antitrust imposte dall’Europa. Due società, Microsoft e General Elettric, le cui quotazioni in borsa fra l’altro erano gestite dalla Goldman Sachs. In sostanza: libero mercato sì, ma con regole certe. Nel 2004 il secondo governo Berlusconi decise di non appoggiare la sua rinomina per la commissione Barroso, preferendogli Rocco Buttiglione (successivamente sostituito da Franco Frattini dopo il rigetto della candidatura di Buttiglione da parte del Parlamento Europeo).
Volendo poi spostarsi sul versante accademico, il Prof. Monti può vantare oltre ad una laurea in Bocconi, un’intensa attività di studi e ricerche sulla concorrenza e una specializzazione a Yale, dove ad insegnare in quello stesso periodo, c’era un certo James Tobin, premio Nobel per l’economia ed inventore della tassazione sulle transazioni finanziarie.
Esprimere forti perplessità sull’attuale mancanza di legittimazione democratica degli organismi economici sovranazionali come la BCE o il FMI è cosa buona e giusta. Eppure ciò che mi preme sottolineare è che, a prescindere da come la si pensi sull’ipotesi di un governo tecnico, prima di bollare Mario Monti come espressione pura della burocrazia europea bisogna tenere ben presenti le idee che, seppure partendo dal suo ruolo di tecnico, egli ha espresso in questi anni attraverso alcune decisioni, che si sono poi tradotte inevitabilmente sul piano dell’agire politico.
Qui ne citerò per importanza le due più significative: In Italia innanzitutto, ma anche in Europa e nel mondo, c’è bisogno di più concorrenza, in particolare bisogna intraprendere azioni coraggiose in quei contesti dove prevalgono corporazioni e interessi troppo frammentati, come nel caso per esempio dell’universo professionale italiano, fatto di ordini diventati ormai delle caste.
La seconda idea guida del “Monti-pensiero” consiste nella forte spinta europeista, che deve portare l’Unione Europea e i suoi organismi a consolidarsi, legittimandosi definitivamente sul piano politico. Guardare con coraggio al futuro senza ripensamenti che possano rendere vani gli sforzi fatti dai padri fondatori dell’Europa, tra cui il nostro Altiero Spinelli. La concretizzazione del disegno di quelli Stati Uniti d’Europa dove la politica conta più dei banchieri e i cittadini sono protagonisti attivi del progetto. Il tutto partendo dalla necessità di non sacrificare la più grande conquista in termini economici della nostra Europa, sancita del patto che ha portato alla nascita della moneta unica.
Oggi, la formazione di un governo tecnico sancirebbe di certo il fallimento della politica, ma di quella portata avanti fino ad ora dall’attuale esecutivo che paga in termini di credibilità il prezzo di anni di sostanziale inattività politica e di un profondo e dissennato atteggiamento negazionista nei confronti della crisi.
Il ricorso alle urne che dovrebbero ridare la parola agli elettori, è al momento irrealizzabile visto il fiato sul collo dei mercati. E’ ulteriormente opportuno ricordare a quanti definiscono la formazione di un governo tecnico come un gesto inconsueto e anti democratico, o peggio un “giochetto di palazzo”, che la procedura e i poteri conferiti al Capo dello Stato per la nomina di un nuovo premier traggono ampiamente legittimazione all’interno della nostra Costituzione.
Detto questo, è auspicabile che intorno al futuro governo Monti venga a formarsi una maggioranza che metta al centro dell’agenda una politica economica in grado non solo di garantire la credibilità dell’Italia di fronte ai mercati, ma anche di avviare misure concrete di rilancio della produttività e della crescita e misure di redistribuzione della ricchezza. Una missione a termine, come vuole la prassi, in cui siamo chiamati ad offrire a Monti non una delega in bianco, ma a reclamare la promessa di sacrifici fatti di rigore, in cambio di politiche che premino al contempo l’equità. Non c’è più tempo per le favole e i complotti.
I mesi che ci attendono dovranno costringere ad uno sforzo di responsabilità tutte le forze politiche augurandosi che, dopo questa fase di transizione, gli elettori non si dimentichino come, e soprattutto per opera di chi, si è arrivati ad un passo dal baratro.

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