sabato 1 novembre 2014

La Leopolda, il Partito e la voglia di studiare che non ho. Una breve riflessione.




Lo so, dovrei lavorare ad un progetto per l’università. Dovrei fare tante cose a dire il vero. Ma oggi proprio non ce la faccio. Dunque ho pensato bene anch’io di gettarmi nella discussione divampata recentemente attorno ai cambiamenti che stanno percorrendo il Partito Democratico, in particolare dopo lo svolgimento della quinta edizione della Leopolda.

Al netto di tutto ciò di cui si è discusso recentemente in merito alla kermesse renziana, una credo sia la domanda più interessante da porsi, e da cui partirò per il mio ragionamento: se la Leopolda è sempre stata il trampolino utilizzato da Renzi per farsi spazio all’interno della politica italiana, il megafono per amplificare il proprio pensiero e veicolare dietro di lui il consenso sempre più crescente degli italiani, che cos’è stata quest’anno, ora che il buon Matteo è diventato presidente del Consiglio? Insomma, se di trampolini non ha più bisogno in quanto è arrivato dove voleva, e di megafoni nemmeno, in quanto già ampiamente coperto dai media nazionali, che funzione può avere la Leopolda all’interno del disegno renziano?

Per provare a dare una risposta convincente credo si debba innanzitutto partire da due concetti:
  1.  La nuova forma di partito che Renzi sta forgiando. 
  2.  Cosa intendiamo esattamente quando parliamo di Leopolda.

1) Sintetizzando, la nuova struttura che il PD piano piano sta cominciando ad assumere, passa principalmente attraverso due processi: Un processo di accentramento dei poteri decisionali verso i piani alti del partito, nella fattispecie nelle mani del Segretario Nazionale, ed una trasformazione della base verso un nuovo modello di “multispeed membership”. In particolare questa seconda trasformazione consiste in un mutamento completo nel modo di concepire l’appartenenza e la partecipazione ad un partito politico. Se prima la base era costituita quasi interamente da persone che si impegnavano attivamente a far vivere le strutture del partito attraverso un costante lavoro volontario, ora essa si sta allargando e aprendo ad una nuova, vasta, platea di soggetti, i quali preferiscono partecipare alla vita del partito in maniera differente, tramite una semplice contribuzione, la presenza ad un gazebo, il coinvolgimento in una campagna elettorale o tramite il voto alle primarie. Non solo. I diritti che tradizionalmente venivano acquisiti tramite l’iscrizione e l’attività all’interno del partito, ora vengono estesi anche alle altre modalità partecipative (l’esempio dei due euro per poter votare il Segretario ne è l’esempio più lampante). La nuova base si configura dunque come sempre più eterogenea, allargata, individualizzata e distaccata dalla vita del partito, il quale d’altra parte vede sempre più erosa la sua struttura tradizionale.

Il nuovo PD in ultima analisi può essere descritto come:
  1. Più leggero. 
  2. Incentrato sulla figura del leader. 
  3. Con una base più allargata, aperta ed eterogenea.

Una volta chiara la nuova nascente forma di partito diviene più semplice comprendere la logica sottostante la Leopolda. Il giochino d’altro canto è abastanza semplice, e non serve certo un politologo per comprenderlo.

2) Un partito leaderistico, ça va sans dire, basa la sua esistenza sulla perpetua affermazione del proprio capo. Essa è necessaria per farlo risultare credibile (il leader e quindi il partito), sia agli occhi degli elettori (come proposta di governo), sia agli occhi degli altri attori politici (come interlocutore).

Questa forma di legittimazione deriva essenzialmente da due fattori: dal consenso della base e dall’unità del partito.

I tre ostacoli principali a questa logica sono: le correnti (le quali mostrano il partito poco coeso, dunque debole e poco credibile), le personalità di spicco (che controbilanciano e quindi minano la leadership del leader, il quale deve apparire forte oltre che alla guida di un partito coeso per mantenere la credibilità) e la forza della base (anch’essa capace di erodere il potere di controllo del partito, ormai accentrato a livello nazionale dal leader, proprio per apparire più forte ed efficace, e dunque credibile).

Dunque, per perseguire i due obiettivi e scongiurare i tre pericoli sopra descritti, sono necessari, nella conduzione del partito, alcuni “piccoli” accorgimenti: eliminare i corpi intermedi, destrutturare il dibattito e mantenere il controllo dell’agenda del Partito.

La Leopolda risponde esattamente a questi tre requisiti.

Attraverso la promozione della partecipazione diretta dei cittadini (e non più solo degli iscritti e militanti) allo sviluppo di nuove idee, Renzi ha innanzitutto rafforzato la propria legittimazione democratica, nonché quella delle decisioni prese dal partito. Quale modo migliore per legittimarsi se non quello di passare direttamente dai cittadini? Ma la Leopolda serve anche ad altro. Attraverso la partecipazione diretta delle persone il processo decisionale viene definitivamente slegato dalla strutturazione attraverso correnti, mozioni e delegati, come avveniva nel “vecchio” partito, basandosi invece sulla partecipazione individuale dei cittadini. Inoltre bisogna ricordare come questa partecipazione coinvolga sempre più soggetti esterni al partito tradizionale, persone alle prime armi, non abituate alle dinamiche e al dibattito interno a un partito. Non serve nemmeno in questo caso un politologo per comprendere che la partecipazione individuale, per di più estesa a soggetti profani della politica di partito, è maggiormente controllabile rispetto a quella strutturata e incanalata attraverso i corpi intermedi, che vede coinvolti principalmente i militanti e gli attivisti del partito. Promuovendo questa “innovativa” forma di partecipazione Renzi riesce a prendere altri tre piccioni con la stessa fava. Allo stesso tempo infatti elimina la mediazione dei corpi intermedi, si sbarazza delle correnti e taglia fuori qualsiasi personalità di rilievo che possa fare da contraltare alla sua leadership. Tutto questo mantenendo un forte controllo sul dibattito e sull’agenda dei lavori.

La Leopolda dunque è coerentemente strumentale al mantenimento e al rafforzamento della leadership del capo e dunque perfettamente funzionale alla logica del nuovo partito leaderistico descritto precedentemente.

Inserito in questa cornice il discorso appare molto più chiaro. Cos’è stata la Leopolda ora che le vecchie motivazioni sono passate? A mio avviso essa è stata un primo tentativo di introdurre ed istituzionalizzare un nuovo processo partecipativo all’interno del Partito Democratico. Un processo partecipativo perfettamente in linea con le altre trasformazioni strutturali in corso d’opera all’interno del partito. Un processo partecipativo che ben si sposa con la nuova configurazione della base, difficilmente gestibile con i vecchi metodi, e con il nuovo rapporto che intercorre tra essa e la testa del partito (ovvero un rapporto diretto, senza intermediazioni). Insomma, a partire da questa edizione della Leopolda mi è sembrato che Renzi abbia voluto “abituare” i militanti, gli aderenti, i sostenitori e i simpatizzanti del Partito Democratico ad una nuova forma di dibattito. Una rottamazione "soft" di una buona fetta di ciò che era stato il partito prima del suo avvento.
Per concludere, la svolta impressa dalla quinta edizione della Leopolda, a ben vedere, non costituisce poi tanto un’innovazione. Così come la stessa riforma del PD rappresenta si un cambiamento epocale, ma limitatamente al contesto italiano. Pionieri di questa visione del partito e della sinistra moderna furono Tony Blair e il suo staff i quali, a partire dal 1994, rivoltarono completamente i Labour in una forma totalmente nuova di partito. Un partito in cui correnti e sindacati videro profondamente diminuito il proprio peso specifico e all’interno del quale venne promossa con forza la partecipazione individuale ed individualizzata, a scapito della strutturazione del dibattito.

A dire il vero ci sarebbero molte cose da dire sulla “svolta renzista” del Partito Democratico, a cominciare dal suo nuovo pensiero fino al modus operandi intrapreso dal governo Renzi. Anche in questo caso le similitudini non mancano nei confronti della stagione Blairista di metà anni novanta.

Ma questa è un’altra storia. Ora torno a preparare il progetto per l’università.

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